Presenti nei capitoli: 6, 14, 15, 16
Gli osti, che incontriamo nel romanzo sono rappresentati nella loro essenza: scaltri, pratici, sempre garbati, a parole fanno lega con i galantuomini, in realtà con i birboni; abili nel difendere i loro interessi, non si urtano quasi mai con i clienti; sia gli osti di città che quelli di campagna hanno della vita una loro concezione particolare. Gran politiconi questi osti professano una morale curiosa e comoda, per loro galantuomini sono quelli che bevono il vino senza criticarlo, pagano il conto senza tirare, e se devono accoltellare uno, lo aspettano fuori dell'osteria; così si esprime l'oste del villaggio, bottegaio volgare e mariolo di basso rango. Quello della luna piena si destreggia molto accortamente nelle circostanze più difficili; è più astuto degli altri, chiuso in se stesso e impassibile in volto, non si compromette. Il soliloquio mentre s'avvia al palazzo di giustizia ci mette in chiaro la morale degli osti, sempre eguale: salvar le apparenze, essere accorti in ogni evenienza, e non lasciarsi cogliere in flagrante. In una terza osteria capita Renzo in fuga da Milano; lo serve una vecchia ostessa, che lo tempesta di domande, tanto per dar ragione all'oste del paese di Renzo: "Perfino le nostre donne non sono curiose...". A passaggio dell'Adda, è sempre oste, e quei suoi occhi pieni di curiosità maliziosa che si fissano su Renzo, sono così poco rassicuranti dopo l'esperienza fatta, che gli fanno morir tra denti l'altre domande che aveva preparate; a questo punto Renzo esclama tra sé: "Maledetti gli osti! più ne conosco, peggio li trovo".